Cultura

Biologico. Il caso Mustiola. Guardate che c’è nel nostro orto

E' la più grande cooperativa ortofrutticola naturale d’Italia. Fattura 14 milioni e dà lavoro a 265 persone. "Ma vogliamo diffondere uno stile di vita diverso".

di Giampaolo Cerri

I controlli dei Nas? Ben vengano: garantiscono gli operatori onesti». Giampaolo Missiroli è figlio di carabiniere, figuriamoci se i militi dell?Arma lo spaventano. A maggior ragione se si tratta di reprimere frodi agroalimentari. Con i suoi 260 soci sparsi in tutta Italia, ha fatto della cooperativa biologica Mustiola un piccolo caso aziendale nel settore: 14 milioni di fatturato, buona parte realizzato vendendo ortofrutta fresca della Romagna. «La portiamo fino in Scandinavia» racconta fiero, «in 48 ore scalogno, scarola, porro, fagiolini arrivano fino a Copenhagen o Stoccolma». Piccolo miracolo biologico, piccolo miracolo italiano: la cooperativa produce e condiziona, la Mustiola International srl acquista e vende. 18 anni di crescita Qui a Cesena, dal 1984 ad oggi l?aziendina fondata da due amici e che vendeva i prodotti del podere del giovane agronomo Missiroli, è diventata un colosso. Girando per i capannoni, fra pallet di merci pronte alle spedizioni (sono oltre 400 le referenze, a marchio, dal vino alle marmellate, dall?olio d?oliva alla birra di farro», la cifra si misura in muri abbattuti. «All?inizio affittammo questo magazzino», spiega Missiroli indicando un?ala di capannone, 10 metri per 10, «poi ci allungammo nel deposito a fianco». L?anno successivo non basta più: via un?altra parete. Recentemente, l?acquisizione di nuovi spazi nel medesimo blocco, nella periferia nord della città. In tutto, ora, sono oltre 5mila metri , comprensivi di celle frigorifere, zona carico e scarico, uffici direzionali. Missiroli ci accompagna nella zona dove parte dei 265 addetti lavorano al confezionamento delle merci. Tante donne, soprattutto giovani, che si muovono svelte fra casse di frutta e verdura, nastri trasportatori e un andirivieni di muletti elettrici. Colpisce l?ordine e la pulizia: più che in uno stabilimento di raccolta di ortofrutta sembra di trovarsi in un?azienda elettronica. I profumi ti confermano che non sbagli. Sono quelli delle cipolle di Tropea, del porro, dei pomodorini a grappolo, delle uve. Non manca neppure lo spaccio; bene arredato, in legno chiaro, dove la gente viene a far spese. «Una legge degli anni 60 permette alla cooperativa di vendere direttamente i propri prodotti». Così, nel cuore della Romagna si possono trovare le marmellate trentine o i biscotti piemontesi, i prodotti che si trovano in una grande catena alimentare del Centro-nord («ma non mi chieda quale, il contratto non mi permette di citarla») e nei negozi specializzati di tutta Italia. Ambiente a scuola «Di che cosa ha bisogno il biologico in Italia? Di maggiore consapevolezza dei consumatori», dice Missiroli, «qualcosa che faccia capire alla gente che questa non è una scelta salutista ma un sistema di concepire i consumi e l?ambiente». Lui vorrebbe che di queste cose se ne parlasse di più a scuola. «Un tempo c?era la festa degli alberi: io, che ho 47 anni, ho fatto in tempo a piantarne alcuni. E dire che abitavo a Milano. Una cosa che ha inventato Mussolini? Me lo lasci dire: chi se ne frega». Non si può dire che Missiroli non abbia le idee chiare: «È venuto il momento di fare qualcosa per l?ambiente: la politica, di qualsiasi segno, deve mettersi concretamente al lavoro». E fa l?esempio dell?energia solare: «Perché nel Nord Europa l?Ue incentiva il fotovoltaico e da noi i fondi sono una cosa irrisoria?» chiede. Parla del cambiamento del clima, della nube sopra il Sud est asiatico. «Temo che troppa gente aspetti segnali più drammatici: c?è bisogno di cambiare stile di vita. E invece vedo in giro gente preoccupata di farsi la terza auto, il cellulare che fa le foto, ecc». Piagnone e pessimista? «Per carità», sorride, «se non fossimo ottimisti noi…». E indica, alla parete, la vecchia foto del primo ufficio: un telefono sopra due casse di legno, in un angolo del capannone. «L?ho appesa per ricordare che veniamo da lì». Chi per anni ha girato la Romagna, di giorno per vendere frutta e verdura e, di sera, per raccontare, nei circoli e nelle case del popolo, di quell?agricoltura senza fertilizzanti e pesticidi, non può che essere ottimista. «Sì, perché si passava per pazzi e visionari», ricorda. In mezzo ai giganti della cooperazione agricola della regione, sensibile al fascino dell?agricoltura intensiva chimicamente sostenuta, 18 anni fa faceva la figura dello sciamano. «Questo è il progresso, ragazzi», gli dicevano fra scherno e compassione. Eppure quei matti che già si ponevano il problema degli imballi ecologici erano trent?anni avanti. «Oggi spendiamo un patrimonio nel condizionamento», sottolinea, «tutto riciclabile, reggette comprese». Ha vinto Missiroli con i suoi soci? Forse. «Di certo l?agricoltura tradizionale attraversa una fase critica», spiega, «quest?anno i prezzi alla produzione hanno raggiunto minimi storici». Loro, i biologici, pur di resistere in campagna, si ingegnano. «Ho soci che si sono inventati attività formative, che accolgono le studentesche, che fanno agriturismo, che ricavano redditi importanti dalla vendita diretta». Diversificare per continuare a far sopravvivere la civiltà contadina, «perché bio non significa semplicemente residuo chimico zero ma è un piccolo gesto per cambiare il mondo». È un vecchio scout, Missiroli e si sente. Mostra orgoglioso il dépliant di una raccolta fondi che l?Auser realizzerà vendendo la sua pasta (ceduta a prezzo speciale). Non è l?unico impegno sociale che vede coinvolta Mustiola. «Sosterremo il progetto di una struttura didattica in aperta campagna». Una casa in legno, alimentata a energia solare, che riproporrà agli studenti in visita tutti i cicli della vita contadina. Commercio equo, crescono i prodotti biologici Se il buono è anche naturale “Spesso i produttori equosolidali sono di fatto biologici”. Parola di Paolo Pastore, direttore nazionale di TransFair, marchio di garanzia di settore. Trattandosi in genere di piccoli appezzamenti e non delle grandi superfici tipiche dell?agricoltura intensiva, accade spesso che i contadini usino tecniche naturali, spesso legate a tradizioni antiche e alla risorse vegetali locali, anziché ricorrere a fertilizzanti e pesticidi. «Il 50% del prodotto importato in Europa e che fa capo al sistema di controllo della Flo-Fairtrade Labelling Organization», dice ricordando che si parla del 70% dell?import totale, «dispone già di una certificazione in questo senso. Stiamo lavorando per farla acquisire a tutti». In Italia, ad esempio, circa il 30% delle 400 tonnellate vendute dai licenziatari TransFair è biologico. «E poi ci sono anche le altre referenze», sottolinea Pastore. A ottobre, sarà la volta delle banane della Coop, mentre «Mondovero ha già il miele bio prodotto in Nicaragua ed entro l?autunno arriverà quello del Chiapas». Stessa linea di tendenza anche in casa Ctm-Altromercato. L?accordo con Esselunga, recentemente avviato per caffè, cacao e zucchero, riguarda il comparto biologico, fiore all?occhiello del gruppo Caprotti. «Il dipartimento Ricerca e sviluppo e assicurazione qualità, oltre ad effettuare a regolari controlli, assicura il pieno rispetto delle normative vigenti europee e collabora con i produttori per lo sviluppo e il miglioramento dei sistemi di produzione», dicono dal quartier generale di Verona. «Particolare attenzione è rivolta a valorizzare tecniche di lavorazione tradizionali o artigianali, alla messa a punto di ricette semplici che salvaguardano al massimo possibile l?integrità dei cibi e le caratteristiche originarie». Ctm si serve dell?Imc, l?Istituto mediterraneo di certificazione di Senigallia (Ancona) per controllare il rispetto delle norme, mentre i prodotti vengono certificati da enti come il Ccpb di Bologna. Info: Commercio equo e solidale in Italia Ctm-Altromercato


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